Commenti e conclusioni del moderatore
Quello del Gioco d’azzardo è un Sistema, che attraversa molti livelli, contesti, dimensioni. Si può dire che nessuna dimensione vi sfugga: si può passare dall’epistemologia della conoscenza, del condizionamento, dei comportamenti che diventano intervento di “cura” da parte degli imprenditori dell’azzardo, quindi dal livello più sofisticato, più etereo, più astratto a quello più incisivo sulla vita reale, nuda, delle persone. Il gioco d’azzardo ha toccato i meccanismi istituzionali, e si possono vedere il cambiamento sovversivo che la Costituzione ha subito, l’assenza di un dibattito pubblico, la manipolazione delle parole, un vero e proprio attentato al significato delle parole, con l’invenzione di una neolingua. Sarebbe interessante proporre un seminario che analizzi questa neolingua orwelliana, per cui i fenomeni, le entità concrete non si chiamano più con i loro nomi, ma si inventa una sintassi dolciastra, untuosa, in cui i significati vengono stravolti, e c’è una rivoluzione appunto della semantica per cui i termini acquistano altro significato, altro suono, funzionali a ben altri scopi.
Abbiamo la necessità di considerare questo Sistema nella sua interezza. E comprendere le procedure, le strategie, persino le tattiche molto specifiche e concrete, che connettono un livello con l’altro, altrimenti non possiamo capire. Questa è la grandissima mancanza di oggi: non abbiamo una cultura adeguata, non abbiamo una cognizione alta e nello stesso tempo molto specifica e concreta, comprensiva di come questo sistema terribile, davvero orwelliano agisca. Di come si passi da un impianto alla Las Vegas alla concettualizzazione che è stata fatta sui nostri territori, che è una concettualizzazione e un’analisi davvero scientifica. Un esempio vivido lo troviamo nei quartieri popolari di Milano, dove chiudono tutti i negozi, colpiti dalla crisi e ogni dieci metri nascono sale slot o sale scommesse. Dove c’era la bottega del piccolo droghiere, di quello che aggiustava le scarpe, dove c’era tutta una serie di negozi al servizio della comunità, nascono proposte di gioco d’azzardo con un’imprenditorialità veramente strategica, volta a occupare il territorio: perciò ogni dieci metri tu hai una sala giochi piccola, a conduzione quasi familiare, con un rapporto diretto con il cliente. Tenere insieme le culture che illuminano questo sistema è veramente molto difficile. C’è difficoltà a individuare i nodi anche istituzionali, gli articoli della Costituzione, e come la Costituzione è stata surclassata, come si è superato ogni limite. Tenere insieme l’epistemologia anche dell’analisi è altrettanto difficile: bisogna evitare il genericismo che poi non permette di essere concreti. E quindi è difficile contribuire a instaurare questa cultura. E’ difficile soprattutto perché si vanno a toccare molti interessi potentissimi, che hanno evidentemente le capacità strategiche di insinuarsi in tutti i gangli istituzionali, economici, finanziari, e anche tecnici, con una capacità d’interdizione a favore della retorica e della neolingua. Questo è un problema che dobbiamo risolvere. Da parte nostra c’è una sorta d’incapacità di stare al passo con la sfida che ci viene posta. Si dovrebbe organizzare anche un seminario sui limiti, e sui difetti dei nostri schemi di lettura. Credo che ci sia bisogno di un enorme lavoro di ricomposizione di tutti i nostri punti di vista, di cercare di connetterli in una rete concettuale che diventa anche una rete clinica. Si parla per esempio di rinforzo, ma il gioco d’azzardo ci obbliga a parlare di perdite. E’ un falso gioco che è basato su catastrofi. Perché le persone che cercano una terapia nei nostri Servizi sono andate incontro a catastrofi, perdite di tutto, di più: del patrimonio familiare, delle relazioni familiari, della sanità familiare. Quindi accanto al rinforzo noi dovremmo mettere molte altre categorie. Dobbiamo conquistarci, con grandissima fatica, studio e sperimentazione, dei modelli più complessi. Perché altrimenti noi ci facciamo “imprigionare” da una, due, tre categorie, ma la bellezza tragica del gioco d’azzardo, rispetto ad altre dipendenze, è che è infinitamente più complesso. Chi “si fa” di eroina, chi “si fa” di cocaina, sa di poter passare con certezza plausibile, quando non assoluta, in uno stato mentale alternativo, cioè sa di raggiungere la meta. Nel gioco d’azzardo la meta è esattamente quella cosa che non mi è promessa, non mi è garantita, e la meta addirittura può essere la sfida stessa. E’ qualcosa che non è, come dire, prevista dalla mia azione (prevista come garantita dalla mia azione). Questo in qualunque gioco d’azzardo, non solo in quello patologico, perché è nostra intenzione spiegare la normalità del gioco d’azzardo, non la patologia. Allora abbiamo bisogno di una pluralità davvero drammatica di punti di vista, di approcci, di sistemi che vanno interrelati. E questi sistemi hanno uno spettro enorme: si va dal brutale, dal più punitivo dei sistemi fino all’analisi sofisticatissima delle motivazioni, potremmo dire all’analisi degli scopi, all’analisi delle strategie per raggiungere lo scopo, e così via. Quindi, un lavoro molto duro ci attende, perché davvero dobbiamo riuscire a conquistare o almeno avvicinarci a questa complessità terribilmente articolata di tensioni che convergono e vengono sollecitate dal gioco d’azzardo. Questa è una bellissima sfida, ma una tremenda fatica perché avere a che fare con questa terribile complessità significa anche cambiare un po’ sguardo mentale su noi stessi. I meccanismi di condizionamento, ma anche tutti gli altri fattori sociali, il tipo di scopi sociali, il tipo di rappresentazione sociale che le varie persone vanno a inseguire in tutte le forme di azzardo ci sfidano a conquistare sempre nuovi strumenti e a non farci bloccare su un approccio che magari corrisponde ai nostri strumenti, perché gli strumenti devono essere invece tantissimi, sempre più articolati e approfonditi. Questo non è consolante, ma un’ipotesi adeguata al confronto con la realtà ci aiuta a non essere “sguarniti”, a non essere vulnerabili nei confronti della realtà. Vorrei terminare con una riflessione sulla vulnerabilità, categoria su cui bisognerebbe soffermarsi a lungo, perché può essere molto pericolosa. Perché pericolosa? Perché il giocatore d’azzardo problematico, se noi adottiamo solo l’occhiale della vulnerabilità, rischiamo di vederlo sempre come un soggetto passivo, di considerarlo come se non fosse invece un attore del tutto e integralmente in possesso del suo potere di agire, del suo potere di elaborare, del suo potere di decidere e di perseguire i suoi scopi. Credo che l’uso di altri occhiali sia più impegnativo, meno rassicurante, però anche che ci renda più adeguati a confrontarci con una popolazione che non possiamo percepire in termini di sola vulnerabilità.