Alea Bulletin

Bollettino di informazione specialistica in materia di azzardo. La redazione di Alea Bulletin, con periodicità variabile, raccoglie riflessioni, approfondimenti, recensioni, al fine di alimentare il dibattito scientifico e di offrire alla comunità degli operatori che lavorano nel settore informazioni corrette ed aggiornate.

Il mercato dei comportamenti a rischio tra politiche e ingenuità

I fatti
Il 16 ottobre scorso la campagna Mettiamoci in gioco 1 (MiG) e Sistema Gioco Italia (SIG), ovvero gli industriali del gambling, firmano a sorpresa un protocollo di intesa. Ad essere colti di sorpresa non è solo il mondo dell’informazione e del sociale, ma anche molte delle stesse realtà che costituiscono il cuore pulsante di MiG. I vertici di diverse associazioni, ad esempio Alea, uno dei soggetti fondatori, Libera e Auser, dichiarano di non essere stati consultati prima della firma e di non aver potuto discutere adeguatamente il testo dell’accordo. Se il comunicato stampa di MiG che ne dà l’annuncio lascia di stucco, il testo firmato raggela

2 : da un lato i quattro punti ‘qualificanti’ appaiono scontati e formulati in modo quanto mai generico; dall’altro il documento mostra un preambolo sconcertante. Viene infatti affermato: a) che l’espressione “gioco d’azzardo” declina nell’Ordinamento giuridico italiano solo ed esclusivamente la componente illegale di tale fenomeno; b) che per trattare correttamente le tematiche relative alle patologie correlate, occorre distinguere ciò che è sempre vietato da ciò che è autorizzato legalmente (sic); c) che pertanto le parti adotteranno la dizione di “gioco con alea con posta in denaro” per indicare le attività di gioco autorizzate dalle Autorità. Non occorre spendere molte parole per affermare che, al di là delle acrobazie retoriche degli azzeccagarbugli nostrani, i danni provocati dall’azzardo sono indipendenti dallo status legale e che comunque l’Art. 721 del Codice Penale definisce come gioco d’azzardo proprio quello nel quale la vincita è interamente o grandemente aleatoria ed ha fini di lucro (ovvero vincite in denaro). Insomma si continua a giocare con le parole e MiG ci sta. Il 25 ottobre il Direttivo di Alea, una volta raccolte le opportune informazioni, decide di dissociarsi dall’accordo con SIG e annuncia con un comunicato pubblico la propria uscita da MiG. Cerchiamo di capire perché. L’industria dei comportamenti a rischio In un articolo comparso recentemente su “The Conversation”, testata giornalistica online su temi accademici, Cassidy e Livingstone (2014), due professori rispettivamente della University of London e della Monash University, esprimono preoccupazioni sul conflitto di interessi che esiste nel campo della ricerca sul gambling. Le tesi espresse dai due autori sono riassumibili nei seguenti punti: a) L’industria del gambling può essere assimilata alle industrie dell’alcol e del tabacco in quanto il loro prodotto è nocivo alla salute dei cittadini; b) gli stessi cittadini, quando sono chiamati a decidere (direttamente o indirettamente) le linee politiche sull’azzardo hanno la necessità di avere informazioni attendibili; 1 Dal sito web di MiG: “Mettiamoci in gioco” – campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo è un’iniziativa nata nel 2012 per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle reali caratteristiche del gioco d’azzardo nel nostro paese e sulle sue conseguenze sociali, sanitarie ed economiche, avanzare proposte di regolamentazione del fenomeno, fornire dati e informazioni, catalizzare l’impegno di tanti soggetti che – a livello nazionale e locale – si mobilitano per gli stessi fini. La campagna è promossa da una pluralità di soggetti: istituzioni – organizzazioni di terzo settore, associazioni di consumatori, sindacati: Acli, Ada, Adusbef, Anci, Anteas, Arci, Associazione Orthos, Auser, Aupi, Avviso Pubblico, Azione Cattolica Italiana, Cgil, Cisl, Cnca, Conagga, Ctg, Federazione Scs-Cnos/Salesiani per il sociale, Federconsumatori, FeDerSerD, Fict, Fitel, Fp Cgil, Gruppo Abele, InterCear, Ital Uil, Lega Consumatori, Libera, Scuola delle Buone Pratiche/Legautonomie-Terre di mezzo, Shaker-pensieri senza dimora, Uil, Uil Pensionati, Uisp. 2 Testo reperibile in: http://www.vita.it/static/upload/pro/0000/protocollo-sgi- mettiamoci-in- gioco-22- settembre-14- 1-.pdf c) le industrie del gambling tendono a condizionare l’agenda della ricerca scientifica sia finalizzando fondi e finanziamenti su particolari obiettivi, sia coinvolgendo direttamente ricercatori, anche di spicco; d) una delle strategie sviluppate dall’industria del gambling nello sviluppare partnership con il mondo della ricerca è mettere a disposizione dati. I dati in possesso dell’industria sono molto preziosi, indispensabili per poter sviluppare ricerche di alto livello, e quindi questi ricercatori si trovano in posizione di privilegio rispetto ai colleghi che rifiutano di stabilire collaborazioni. Quanto essi forniscano in cambio dei dati non è noto, ma la situazione individua chiaramente un conflitto di interessi che genera sospetti. Mentre nel campo dell’alcol e del tabacco il dibattito sul conflitto di interessi e sul ruolo dell’industria appare più stringente, nel caso del gambling sembra non suscitare analoghe preoccupazioni. In ogni caso le problematiche connesse ai rapporti tra il mondo scientifico e degli operatori sociosanitari da un lato e l’industria dall’altro appaiono del tutto sovrapponibili anche nel campo del gambling. Questo quanto meno ci permette di imparare dalle esperienze precedenti. Le industrie dei comportamenti a rischio hanno dimostrato di avere interessi comuni e di saper stringere alleanze al fine di influenzare le politiche che le riguardano (Jiang e Ling, 2013). Va detto anche che le politiche governative di limitazione dei danni appaiono talora alquanto tiepide dal momento che tutti i governi, e quello italiano innanzi tutti, compartecipano ai ricavi dall’azzardo. Il fatto che le fasce sociali economicamente più deboli siano quelle che di fatto contribuiscono in misura maggiore a questi introiti non sembra peraltro preoccupare nessuno. E’ comprensibile quindi che gli operatori sociosanitari impegnati sul campo abbiano fondati timori sulla concreta possibilità di vedere programmate e realizzate efficaci politiche di protezione dai danni dei comportamenti a rischio. Uno degli argomenti forti sul piano politico è che un contenimento del diritto di impresa da un lato e del diritto di scelta del cittadino dall’altro siano delle limitazioni di fatto delle libertà individuali e che uno Stato non può assurgere a regolatore etico delle scelte individuali. L’argomento è decisamente spinoso, ma non nuovo. Il presidente del Tobacco Institute (la principale unione dei produttori americani di tabacco) nel 1987, nel tracciare le linee strategiche di opposizione alle proposte limitative della pubblicità, affermò che il principio della libertà di parola andava enfatizzata per contrastare le politiche restrittive, che andava dimostrata l’inefficacia delle limitazioni pubblicitarie e che doveva essere mostrata la responsabilità sociale dell’industria non promuovendo il fumo tra i giovani (Jiang e Ling, 2013). In altri termini venivano proposte strategie di intervento dell’industria sul piano della difesa dei grandi principi costituzionali, sul piano della ricerca scientifica e della promozione dell’immagine sociale; tutto piegato alle esigenze degli affari. Thomas Babor (2009), uno tra i massimi esperti alcologi e Associated Editor della autorevole rivista Addiction, sostiene che dietro a espressioni come “corporate citizenship”, “corporate social responsibility” e “partnership with the public health community” 3 , l’industria e la grossa distribuzione di alcolici finanziano attività, meeting, pubblicazioni scientifiche e programmi di ricerca che possono influenzare l’obiettività e minare l’indipendenza dei ricercatori. Tali azioni sono condotte sia direttamente che indirettamente, attraverso organizzazioni “sociali” dell’area della salute pubblica. Tali organizzazioni sono spesso impegnate a promuovere la responsabilità individuale della scelta e del consumo (bere responsabilmente, e l’analogo giocare responsabilmente...), mentre trascurano sistematicamente gli aspetti connessi al mercato, al suo sviluppo e alle responsabilità aziendali nella diffusione e nella promozione del consumo a rischio. Di fatto le politiche promosse e le ricerche finanziate dalla industria e dalle organizzazioni da essa sponsorizzate hanno l’obiettivo di non interferire con il business e di favorire iniziative inefficaci (ad esempio progetti di prevenzione o responsabilizzazione del consumo tra i giovani in setting 3 Si è volutamente lasciata la lingua originale trattandosi di espressioni cui non corrisponde una precisa, analoga espressione italiana. Il concetto di responsabilità sociale appare evidentemente assai lontano dalla mentalità del capitalismo nazionale. scolastico) piuttosto che azioni realmente incisive sul piano del mercato, come ad esempio l’aumento dei livelli di tassazione su alcol e sigarette. Una ulteriore strategia dell’industria è di dimostrare la propria filantropia e responsabilità sociale e di proporsi come interlocutore legittimo nei confronti del governo e della politica (Fooks et al., 2011), anche di quei settori che potrebbero esser loro ostili. E’ evidente che a fronte di collaborazioni con organizzazioni sociali, finanziamenti e impegni sul piano scientifico e della sensibilizzazione pubblica, l’industria acquisisce legittimazione anche di fronte agli oppositori e può accedere ai tavoli di discussione. Ciò di conseguenza può portare anche ad una percezione pubblica più favorevole nei confronti del consumo dei suoi prodotti. La sponsorizzazione di persone, gruppi, università, riviste, testi, meeting scientifici, può portare a effetti differenziati, dallo spostamento dell’attenzione verso argomenti che non confliggono con gli affari, allo spargere dubbi sulla interpretazione di dati scientifici, in particolare sulle ricerche a più alto impatto sul business. Il fatto stesso di stabilire un rapporto personale, prima ancora che economico, tra dirigenti dell’industria e ricercatori rischia di portare di fatto ad uno spontaneo ammorbidimento delle posizioni che possono generare conflitti. Qualche conclusione Gli studi e le discussioni sul ruolo dell’industria dell’alcol e del tabacco sulle politiche di protezione e sulla ricerca scientifica dovrebbero essere estese al settore del gambling. Quindi che conclusioni trarre dalle esperienze in questi campi diversi, ma non lontani? Innanzi tutto le esperienze fatte consigliano estrema prudenza da parte degli operatori sociosanitari che si avvicinano al tema delle politiche di contenimento del danno: l’esistenza stessa di un accordo tra industria e organizzazioni sociali offre legittimità alla prima anche agli occhi dei settori della politiche che le sono (o dovrebbero essere) ostili. Inoltre leggendo il testo dell’accordo tra MiG e SIG appare lampante che le aree di collaborazione possono essere definite quanto meno poco incisive: a) la lotta alla illegalità appare una sorta di specchietto delle allodole in quanto legittima indirettamente il gioco legale; è tuttavia ben chiaro che gli attuali problemi che stiamo affrontando nei servizi derivano dall’azzardo legale. b) La lotta al gioco minorile è, come abbiamo visto, un’altra area di legittimazione sociale prediletta dall’industria. Sembra quasi che MiG abbia già dimenticato che il primo atto dopo la sua costituzione è stata proprio l’aspra critica del progetto scolastico di promozione del cosiddetto gioco responsabile finanziato dalla stessa AAMS. Da un punto di vista logico l’illegalità e il gioco minorile dovrebbero essere date come scontate e fuori discussione. Punto. Ci vuole forse un accordo specifico? A chi giova? c) La limitazione della pubblicità e della promozione, terreno in cui SIG può farsi forte di un proprio codice di autoregolamentazione, potrebbe essere un campo di effettiva discussione a patto di utilizzare metodi scientifici per testare l’efficacia di provvedimenti limitativi, ma resta il fondato dubbio che l’industria non accetti limitazioni che vadano ad incidere sul fatturato 4 , visto che è quello l’obiettivo. Da questo punto di vista lo Stato rimane il regolatore fondamentale. d) Per la lotta al gioco d’azzardo patologico i firmatari si impegnano “all’individuazione precoce dei giocatori problematici, alla diffusione di materiali utili per una di maggior tutela e consapevolezza dei rischi. Il terreno comune può anche essere quello dell’indicazione dei servizi pubblici e privati nei quali è possibile trovare aiuti specifici, e a individuare ulteriori attività comuni 4 Il sito web di Sistema Gioco Italia cita dati Nielsen secondo cui nel primo semestre 2012 sarebbero stati spesi ben 70 milioni di euro per pubblicizzare l’azzardo. per far si che le persone che instaurano forme di patologia da gioco (GAP) possano essere aiutate nell’individuazione e nella risoluzione dei loro problemi.” Si noti che il focus rimane sempre l’individuo (vulnerabile), non le politiche di diffusione. La focalizzazione sulla vulnerabilità individuale non solo è inefficace ed inconcludente nello sviluppo di politiche di salute pubblica, ma non tiene conto di tutti i fattori di rischio ambientali (distribuzione e accessibilità dell’azzardo) e strutturali, ovvero i meccanismi di condizionamento del comportamento insiti nei giochi (schemi incentivanti di distribuzione del monte premi, fenomeni near-miss, ecc.). Di fatto quindi è deresponsabilizzante per l’industria. Per noi operatori è indispensabile tener distinto l’approccio al caso individuale quando ci occupiamo di trattamento e assistenza, dall’approccio di salute pubblica con il quale si affrontano i problemi da un punto di vista collettivo. Appare comico, se non fosse abbastanza drammatico, il riferimento a fornire informazioni sui servizi pubblici e privati nei quali è possibile trovare aiuti specifici: una formula che nasconde la desolante realtà in cui il GAP è ancora fuori LEA e i servizi pubblici e privati, già allo stremo dopo una serie di tagli ai fondi sanitari e sociali, non ricevono alcuna risorsa per sviluppare gli “aiuti specifici” a questo nuovo bisogno di salute e assistenza. Di tutto questo non c’è cenno alcuno nel documento, nessun accenno ad una sorta di riparazione sociale dai danni derivati dal business. Il documento riporta la “consapevolezza del fatto che la maggior parte delle persone non ha problemi di dipendenza...”. Ovviamente il problema non sta nel “piccolo” numero di giocatori patologici rispetto al numero complessivo di giocatori, ma nel fatto che dal gioco problematico deriva una quota elevata di introiti, stimata oltre il 20% (George, Bowden-Jones H, 2014), ma che per le slot potrebbe arrivare al 60% (Williams, Wood, 2005). Ovviamente è impensabile che l’industria possa collaborare realmente con la prospettiva di limitare una fetta di introiti così rilevante. Solo lo Stato può efficacemente intervenire su questo piano, ma con tutte le riserve del caso visto il conflitto di interesse che lo riguarda. Le ricerche su questi ed altri aspetti richiedono la disponibilità di dati, ma nel documento non si accenna affatto alla richiesta di ottenere qualcosa di più rispetto alle poche cifre che annualmente vengono riportate sul report della Agenzia Dogane e Monopoli. La trasparenza è essenziale, soprattutto quando esiste un coinvolgimento così pesante dello Stato nella gestione del business dell’azzardo. In Italia siamo ancora lontanissimi da un atto di civiltà apparentemente così banale. A proposito di conflitto di interessi, vale infine la pena di ricordare che esso consiste essenzialmente in una questione di fiducia. Il conflitto non si concretizza solo con comportamenti, ma principalmente con la condizione, vale a dire che un ricercatore o una organizzazione può avere comportamenti più che corretti, ma nondimeno trovarsi in condizioni oggettive di conflitto di interessi e quindi legittimare sospetti e perdita di fiducia. E’ questo il principale motivo che ha condotto Alea a non limitarsi come altri ad una semplice critica su come era stata condotta l’intera operazione, ma a lasciare definitivamente la campagna. Alea non ha voluto mettere in pericolo l’unico patrimonio che ha a disposizione, ovvero la credibilità propria come società scientifica e delle persone che in essa si riconoscono. La posta in gioco è essenzialmente questa ed è il motivo per cui appare non solo vano, ma anche autolesivo il tentativo, per quanto in buona fede, di sedersi attorno allo stesso tavolo con l’industria. Non si tratta di avere posizioni proibizioniste o antiproibizioniste (abbiamo già vissuto questi sterili conflitti nel campo delle sostanze), ma di saper conoscere il proprio posto e i propri interlocutori. L’interlocutore di chi opera sul piano dell’assistenza ai giocatori è lo Stato, non l’industria. Sedersi ad un tavolo dove manca lo Stato o dove lo Stato non rappresenta il regolatore, ma una parte in causa offre solo legittimazione a chi fa affari sulla pelle della gente. Margaret Chan, Direttore Generale dell’OMS, ha avuto modo di affermare in modo deciso: “Dimenticate la collaborazione con l’industria del tabacco. Mai fidarsi di questa industria, in nessun conto, per nessun accordo”. Ma evidentemente i colleghi di Mettiamoci in Gioco non fumano. Bibliografia Babor T (2009): Alcohol research and the alcoholic beverage industry: issues, concerns and conflict of interest. Addiction, 104, suppl. 1:(34-47). Cassidy R, Livingstone C (2014): The problem with gambling research. The Conversation. http://theconversation.com/the-problem- with-gambling- research-31934. Chan M (2011): Opening remarks at the WHO Global Forum: Addressing the Challenge of Noncommunicable Diseases, Moscow, Russian Federation, 27 April 2011. Fooks GJ et al. (2011): Corporate Social Responsibility and Access to Policy E’lites: An Analysisof Tobacco Industry Documents. PLoS Medicine, 8/8, e1001076. Jiang N, Ling P (2013):Vested Interests in Addiction Research and Policy Alliance between tobacco and alcohol industries to shape public policy. Addiction, 108:(852-864). George S, Bowden-Jones H (2014): Gambling: the hidden addiction. Faculty report FR/AP/01, Royal College of Psychiatrists. Williams R, Wood R (2005): Proportion of Gaming Revenue Derived from Problem Gamblers. Alberta Gaming Research Institute Conference “Public Policy Implications of Gambling Research”, Edmonton, Alberta, March 31 – April 1.

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  • F.A.Q.

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    Caro lettore, ha davanti a te Alea Bulletin, una pubblicazione elettronica curata da ALEA in tema di gioco d’azzardo e gioco d’azzardo patologico.

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    Alea è l’associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio, la prima società scientifica italiana che si è impegnata nel campo dell’azzardo. Alea riunisce i maggiori studiosi italiani della materia e ha la missione di studiare il fenomeno del gioco d’azzardo e le sue ricadute personali, familiari, sociali, prima fra tutte lo sviluppo della patologia di dipendenza correlata (disturbo da gioco d’azzardo)

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    Troverai di più: alcuni articoli significativi verranno riassunti e commentati. Se gli articoli sono reperibili gratuitamente su Internet, ti daremo le coordinate per trovarli. Gli abstract invece li puoi trovare facilmente su Internet. Il ‘copia e incolla’ ci annoia: ci piace di più condividere un nostro pensiero, una nostra valutazione, qualcosa che ha stuzzicato il nostro interesse.

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    Né mai troverai nulla: questo termine è un neologismo creato da chi guadagna sull’azzardo e quindi fatto rimbalzare ad arte sui mass media e, ahimè, nei documenti governativi. Ludopatia è un termine che non esiste né nei testi scientifici, né nei dizionari di italiano (anche se c’è da scommetterci che presto verrà inserito). Se proprio ci tieni a leggere cose sulla ludopatia, esistono altre pubblicazioni.


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